Posted on 23 giugno 2015 by Donne in rosso
foto di Luigi Paradiso -Assemblea regionale del PCdI, Taranto 19 giugno 2015 |
foto di Luigi Paradiso -Assemblea regionale del PCdI, Taranto 19 giugno 2015 |
Pubblichiamo un intervento sul terribile problema del caporalato femminile ancora esistente nell’agricoltura che la compagna Ilaria Saracino ha tenuto durante l’Assemblea regionale del PCdI di venerdì 19 giugno a Taranto.
Un altro grave problema che interessa la nostra regione è il fenomeno del caporalato femminile nell’agricoltura. Fenomeno nato decenni addietro nel nostro Mezzogiorno, dove vi erano i grandi latifondisti, e combattuto all’epoca con numerose battaglie sociali e affrontato dalla stessa CGIL e quindi da Di Vittorio, che con il passare del tempo sembrava fosse scomparso anche per via della trasformazione del latifondo grazie alle riforme agrarie degli anni 60 del secolo scorso; invece si scopre che esso non solo non è scomparso, ma si è enormemente sviluppato in modo silente e non manifesto adattandosi e raggirando la normativa che di volta in volta veniva realizzata.
Infatti, molti di noi di questo fenomeno ne sono a conoscenza in quanto lo vedono o lo vivono personalmente nei propri comuni o nelle proprie famiglie, nelle altre parti d’Italia invece, se n’è avuta conoscenza solo attraverso specifici fatti di cronaca, come ad esempio, ricorderete tutti, la protesta dei braccianti extra-comunitari di Rosarno e Nardò tra il 2010 e il 2011. Ultimamente qualche notizia riappare su testate giornalistiche e sul web mentre la testimonianza diretta si è avuta attraverso varie denunce di programmi televisivi nazionali.
Si pensi che solo in Puglia il caporalato agricolo sfrutta 40 mila donne italiane e 18 mila straniere. Le italiane partono dai vari comuni pugliesi alle tre e mezza della mattina, facendo rientro alle loro case non prima delle diciotto, per raggiungere i campi di lavoro in Puglia, in Basilicata e in Calabria percorrendo centinaia di chilometri a bordo di furgoni telonati e pullman Gran Turismo. Le straniere invece effettuano le stesse ore di lavoro vivendo nei capannoni, che i caporali allestiscono come dormitori e persino molto spesso anche in stalle assieme agli animali. Generalmente il lavoro che svolgono le braccianti riguarda la raccolta di ciliegie, di fragole, di uva, di pesche e di agrumi in campi aperti e nelle serre per almeno 10-12 ore al giorno, oppure si arrivano a raggiungere le 15 ore se si lavora nei magazzini per il confezionamento dei prodotti. L’intero sistema è organizzato in maniera formalmente legale e lecita tanto che i caporali molto spesso sono anche proprietari dei pullman Gran Turismo e risultano essere agenti di viaggio, ma in realtà organizzano l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro.
Purtroppo la necessità economica e la disperazione che vivono le famiglie pugliesi induce queste lavoratrici ad accettare condizioni disumane, come ricatti di vario genere e persino ricatti sessuali, e ad accettare il sistema senza alcuna protesta e denuncia perché, lo si deve ribadire, hanno il terrore di essere punite in diverse maniere. Tanto avviene anche perché le lavoratrici non trovano alcun sostegno o punto di riferimento sindacale e politico che possa rappresentare le loro istanze di lavoratrici sfruttate. Difatti, nonostante nel 2011, in seguito alle rivolte spontanee di Nardò e Rosarno, sia stato emanato il D.L. n. 138, art 12 che prevede il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro sino ad oggi sono state prodotte solo 15 denunce e nessuna altra forma di protesta. Ciò non fa altro che testimoniare quanto il sistema di tutela e di rappresentanza sia assente o qualora sia presente è miseramente inadeguato e inefficace.
fonte
https://donneinrosso.wordpress.com/2015/06/23/il-fenomeno-del-caporalato-agricolo-in-puglia-e-le-sue-schiave/
Un altro grave problema che interessa la nostra regione è il fenomeno del caporalato femminile nell’agricoltura. Fenomeno nato decenni addietro nel nostro Mezzogiorno, dove vi erano i grandi latifondisti, e combattuto all’epoca con numerose battaglie sociali e affrontato dalla stessa CGIL e quindi da Di Vittorio, che con il passare del tempo sembrava fosse scomparso anche per via della trasformazione del latifondo grazie alle riforme agrarie degli anni 60 del secolo scorso; invece si scopre che esso non solo non è scomparso, ma si è enormemente sviluppato in modo silente e non manifesto adattandosi e raggirando la normativa che di volta in volta veniva realizzata.
Infatti, molti di noi di questo fenomeno ne sono a conoscenza in quanto lo vedono o lo vivono personalmente nei propri comuni o nelle proprie famiglie, nelle altre parti d’Italia invece, se n’è avuta conoscenza solo attraverso specifici fatti di cronaca, come ad esempio, ricorderete tutti, la protesta dei braccianti extra-comunitari di Rosarno e Nardò tra il 2010 e il 2011. Ultimamente qualche notizia riappare su testate giornalistiche e sul web mentre la testimonianza diretta si è avuta attraverso varie denunce di programmi televisivi nazionali.
Si pensi che solo in Puglia il caporalato agricolo sfrutta 40 mila donne italiane e 18 mila straniere. Le italiane partono dai vari comuni pugliesi alle tre e mezza della mattina, facendo rientro alle loro case non prima delle diciotto, per raggiungere i campi di lavoro in Puglia, in Basilicata e in Calabria percorrendo centinaia di chilometri a bordo di furgoni telonati e pullman Gran Turismo. Le straniere invece effettuano le stesse ore di lavoro vivendo nei capannoni, che i caporali allestiscono come dormitori e persino molto spesso anche in stalle assieme agli animali. Generalmente il lavoro che svolgono le braccianti riguarda la raccolta di ciliegie, di fragole, di uva, di pesche e di agrumi in campi aperti e nelle serre per almeno 10-12 ore al giorno, oppure si arrivano a raggiungere le 15 ore se si lavora nei magazzini per il confezionamento dei prodotti. L’intero sistema è organizzato in maniera formalmente legale e lecita tanto che i caporali molto spesso sono anche proprietari dei pullman Gran Turismo e risultano essere agenti di viaggio, ma in realtà organizzano l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro.
Purtroppo la necessità economica e la disperazione che vivono le famiglie pugliesi induce queste lavoratrici ad accettare condizioni disumane, come ricatti di vario genere e persino ricatti sessuali, e ad accettare il sistema senza alcuna protesta e denuncia perché, lo si deve ribadire, hanno il terrore di essere punite in diverse maniere. Tanto avviene anche perché le lavoratrici non trovano alcun sostegno o punto di riferimento sindacale e politico che possa rappresentare le loro istanze di lavoratrici sfruttate. Difatti, nonostante nel 2011, in seguito alle rivolte spontanee di Nardò e Rosarno, sia stato emanato il D.L. n. 138, art 12 che prevede il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro sino ad oggi sono state prodotte solo 15 denunce e nessuna altra forma di protesta. Ciò non fa altro che testimoniare quanto il sistema di tutela e di rappresentanza sia assente o qualora sia presente è miseramente inadeguato e inefficace.
fonte
https://donneinrosso.wordpress.com/2015/06/23/il-fenomeno-del-caporalato-agricolo-in-puglia-e-le-sue-schiave/